L’importanza del silenzio
Durante gli anni di pratica dello Yoga è curioso notare come cambia l’approccio: nei primi tempi, all’inizio della pratica, si dà importanza alle asana e alla fisicità, all’obiettivo e al risultato finale. Successivamente, con la perseveranza della pratica, arriva il momento in cui ci si dedica al respiro, a sentire la pratica interiormente, verso il Prathyahara e la concentrazione. Di conseguenza, arrivano anche il silenzio, la meditazione, la necessità di andare lenti e sentirsi leggeri.
Vi siete accorti di quanto oggi siamo di corsa, vero? Il tempo non è mai abbastanza e per stare al passo dobbiamo correre, aggiungere più cose alle nostre giornate per non lasciare nemmeno un attimo libero e fare sempre di più.
Per chi riesce a ritagliarsi del tempo per sé, ecco che il silenzio diventa il rifugio, la pausa, l’oasi: 5 minuti di silenzio: “Lasciatemi un po’ in silenzio”.
Diventa lo chalet in montagna, le cuffie con rumore bianco. È a partire dagli anni 60 che si inizia a parlare di “inquinamento acustico” e gli studi scientifici sottolineano quanto la vicinanza a fonti di rumore forte e costante (autostrade, aeroporti) comporti danni alla salute: pressione alta e disturbi cardiaci vari, perdita del sonno, acufeni.
Il silenzio per la scienza
Il silenzio viene dunque considerato come un’assenza, una mancanza di stimoli, negativi o positivi che siano. E come tale viene utilizzato in molte ricerche scientifiche: finché non ci si accorge che, beh, non è esattamente così. Nel 2006 il Prof. Luciano Bernardi, tramite una ricerca, indaga sugli effetti fisiologici della musica e scopre, come c’era da aspettarsi, che a determinati tipi di suono il corpo umano reagisce in modo diverso. Quello che sorprende i ricercatori è che nelle pause tra un brano e l’altro, il silenzio, usato come “controllo”, produce invece degli effetti come la musica. Sono effetti rilassanti e sono maggiori rispetto a quelli prodotti da un silenzio “assoluto”: una pausa, un’interruzione tra due suoni stimola positivamente il cervello più che un periodo prolungato di calma.
Questo fatto ha una ragione evolutiva: da quando noi esseri umani abbiamo iniziato a parlare in maniera articolata, cioè con suoni astratti che simboleggiano concetti, l’attenzione deve sempre essere alta per distinguere una parola da un’altra e quindi il cervello, nelle interruzioni, non va in pausa ma si allerta. In uno studio del 2010 (Michael Wehr, Università dell’Oregon) si è poi visto che i neuroni che si attivano sono addirittura altri: non solo la materia grigia reagisce al silenzio come al suono, ma ha delle cellule specificamente dedicate a farlo.
Ma non finisce qui: sotto certi aspetti il silenzio sembra essere non solo come il suono, ma anche meglio. La neurologa Imke Kirste, specializzata in biologia rigenerativa alla Duke University, nel 2013 studia gli effetti a lungo termine di quattro tipi di stimoli sonori: musica, richiami di cuccioli (in questo caso topi), rumore bianco, silenzio. Il silenzio è ancora una volta ritenuto il grado zero, il controllo: invece viene notato che, mentre tutti i suddetti stimoli hanno un effetto a breve termine, solo il silenzio ha una conseguenza duratura, stimolando la produzione di nuove cellule nell’ippocampo, la parte del cervello deputata alla formazione della memoria.
Cos’è il silenzio nel Buddhismo?
Nella visione buddista, il silenzio cos’è?
Il filosofo Panikkar distingue quattro tipi di silenzio:
- Il soffocamento delle parole: la volontà di tacere appositamente nonostante si abbia molto da dire. In tal caso si tace per prudenza o per paura di esprimere un proprio parere. Il che significa esercitare una violenza, bloccare il flusso della vita.
- Lo sbigottimento delle parole: si tace per insipienza, cioè per scarsa conoscenza delle parole. Si tratta di un silenzio che produce distacco nelle relazioni umane e porta all’intorpidimento dei rapporti.
- L’inadeguatezza delle parole: si tace perché si avverte di aver fatto esperienza di qualcosa che non può essere esprimibile. Il silenzio, quindi, è dovuto alla mancanza di vocaboli idonei a descrivere il proprio vissuto.
- L’assenza di parole: non si tace per ignoranza, difficoltà a narrare il proprio vissuto o altro, ma perché non c’è nulla da dire. Assenza, però, non significa annientamento della parola. Questo silenzio, anche se privo di parola, si esprime ed esprime quello che la parola non dice perché la parola non descrive la totalità del reale.
Quando Buddha ottenne l’illuminazione nel giorno di luna piena del mese di maggio, rimase in silenzio. Per un’intera settimana non disse una parola. La mitologia dice che tutti gli angeli del cielo si spaventarono e dissero: “Una volta in un millennio qualcuno fiorisce così pienamente come Buddha. Ora è in silenzio, non dice una parola!”. Si dice che tutti gli angeli si avvicinarono a Buddha e gli chiesero di dire qualcosa, di parlare.
Buddha disse:
“Coloro che sanno, sanno anche senza che io lo dica e coloro che non sanno, non lo sapranno con le mie parole. Qualsiasi descrizione della vita a un cieco non serve a nulla. Per chi non ha assaggiato l’ambrosia dell’esistenza, della vita, non ha senso parlarne. Perciò sono in silenzio”.
Come si può trasmettere qualcosa di così intimo, di così personale? Le parole non possono. E molte scritture in passato hanno dichiarato: “Le parole finiscono dove inizia la verità”.
Ma gli angeli dissero:
“Sì, siamo d’accordo, quello che dici è giusto. Ma, Buddha, considera coloro che sono al limite. Ci sono alcuni che si trovano nel mezzo, che non sono né completamente illuminati né totalmente ignoranti. Per loro, poche parole daranno una spinta. Per il loro bene, parla, dicci qualcosa. E ogni parola creerà quel silenzio. Perché lo scopo delle parole è quello di creare silenzio. Se le parole creano altro rumore, allora non hanno raggiunto il loro scopo”.
E le parole del Buddha creeranno sicuramente il silenzio, perché il Buddha è la manifestazione del silenzio.
Il silenzio è la fonte della vita ed è la cura per le malattie. Avrete notato che quando le persone sono arrabbiate, tacciono. O gridano molto, e dopo aver gridato diventano silenziose. Oppure quando si è tristi si dice: “Lasciatemi in pace”. Si fa il muso lungo e si tace.
È facile capire se una persona sta bene o meno. Se è molto silenziosa, si capisce che c’è qualcosa che non va. Se si è tristi, si diventa silenziosi. Le persone abbassano la testa e tacciono. Se ci si vergogna, si fa silenzio. E se si è saggi, si diventa silenziosi. E quando ci si trova di fronte all’ignoranza e alle domande inutili, si fa silenzio. Che altro si può fare?
Quando a Gesù è stato chiesto di dimostrare: “Sei tu il figlio di Dio?”, ha taciuto. Era la cosa più saggia da fare. Quando vi viene chiesta la prova di qualcosa che è al di là della prova, il rimedio è il silenzio. Se dite a qualcuno che avete un dolore alla gamba e quello vi chiede: “Dai, provamelo, come faccio a crederti?”.
Come potete provare il vostro dolore?
Se non potete provare qualcosa di così grossolano come il dolore, come potete provare qualcosa di così intimo come l’illuminazione, come la Divinità? Il saggio diventa silenzioso. Un vecchio proverbio sanscrito dice: “La distorsione è la radice della parola”. Nel momento in cui si inizia a parlare, si è distorti. Le parole non possono catturare l’esistenza, ma il silenzio sì.
Spazio e silenzio sono sinonimi. La gioia, l’appagamento portano il silenzio. Il desiderio porta il rumore. Il silenzio è la cura, perché nel silenzio si torna alla fonte e questo crea gioia. Ecco perché quando qualcuno è triste, diventa silenzioso e si libera della tristezza, esce fuori. Si suppone che ne esca con gioia o almeno con un po’ di calma.
Buddha era la manifestazione del silenzio. Il suo silenzio derivava dalla saturazione, non dalla mancanza. La mancanza crea lamentele e rumore, la saturazione porta il silenzio. Osservate il rumore nella vostra mente. Di cosa si occupa? Più denaro, più fama, più riconoscimento, realizzazione, relazione: il rumore riguarda qualcosa. Il silenzio non riguarda nulla. Il silenzio è la base, il rumore è la superficie, è l’esterno. Il rumore indica mancanza, bisogno, desiderio.
A volte conviene far tornare le parole al silenzio da cui hanno avuto origine.
Chi non ha gustato il silenzio non assapora la parola.– Raimon Panikkar
… e su ciò di cui non possiamo parlare, si deve tacere.
– Ludwig Wittgenstein